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REALTA' E ILLUSIONE di Francesca Casarin
1° Parte.........................
REALTA’ E ILLUSIONI
" Un essere
umano è parte del tutto chiamato universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i
suoi sentimenti come qualche cosa di separato dal resto: una specie di
illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il
nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione
attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione,
sino a includervi tutte le creature viventi e l’intera natura, nella sua
bellezza” Albert Einsten
PREMESSA Ho sempre cercato di comprendere cosa è reale e cosa è illusorio e che senso avesse parlare di magia. Affrontando tutto ciò mi sono fatta aiutare da diversi autori mettendomi in ideale contatto con loro come fossero guide temporanee alle mie istanze cercando di non interpretare, ma di seguire al meglio le loro parole. Non so se le risposte univoche e chiare io le abbia trovate o le potrò mai trovare sui libri, ma comunque so che ad ogni luce che si accende, più grande è intorno il cerchio d’ombra. Comunemente la realtà si basa su ciò che ci hanno
insegnato a considerare vero. A ciò si aggiungono le esperienze individuali, la
morale, le tradizioni della società, l’ambiente fisico e geografico che ci
circonda Alcune ricerche hanno dimostrato che gli aborigeni,
abituati a vivere nella foresta e a guardare a breve distanza a causa del fitto
fogliame, non concepiscono la prospettiva. Le cose a distanza sono solo oggetti
piccoli (realtà soggettiva considerata verità). Nel deserto del Kalahari una tribù vive convinta che
il limite del mondo si trovi a circa 250 metri dal luogo in cui essa vive. Un antropologo riferisce che quando gli indigeni
vengono condotti in quel punto limite, vedono solo il vuoto. Se una persona
supera quel limite non sono più in grado di vederla e la piangono come se fosse
morta. Per accettare un nuovo concetto di realtà dobbiamo accettare di cambiare paradigma, cioè il nucleo centrale di un concetto intorno a cui ruota una intera ricerca. Un paradigma interamente accettato diventa dogma. Tutte le idee limitative possono influenzare lo sviluppo di un’intera società. La paura del nuovo o la convinzione che l’idea consolidata sia l’unica possibile ha sempre impedito alla consapevolezza di progredire nei secoli. (Marco Polo fu messo in prigione, Copernico e Galileo furono ridicolizzati e contrastati, nel medioevo le guaritrici venivano condannate a morte come streghe). Alcuni esperti di statistiche dicono che affinché una nuova idea diventi parte di uno schema preesistente, il 75% della popolazione deve averne sentito parlare in modo che il 25% possa accettarla. La visione scientifica
Mutando la visione scientifica del mondo fisico sono
mutate le nostre definizioni della realtà. Fino ai tempi recenti le nostre
definizioni di realtà si basavano sulla fisica di alcuni secoli addietro:
l’universo come insieme di oggetti fisici. A sostenere questa concezione fu
Newton. La fisica di Newton venne sviluppata ulteriormente nel 19° secolo e
diede luogo ad una concezione di universo composto da elementi costitutivi
fondamentali: gli atomi. Questi erano concepiti alla stregua di oggetti
fisici: un nucleo composto da protoni e neutroni attorno al quale ruotavano gli
elettroni. Ciò indusse i fisici dell’inizio ‘800 a ritenere che
l’universo fosse un immenso sistema meccanico che funzionava secondo le leggi
del moto. Dietro tali concezioni vi era l’idea di un tempo e di uno spazio
assoluti e la convinzione che ogni fenomeno derivasse da processi naturali di
causa-effetto. Ogni reazione fisica doveva avere una causa fisica. Non si
conosceva ancora l’interazione tra energia e materia, cioè il processo grazie
al quale un apparecchio radiofonico emette suoni per l’impulso di radioonde
invisibili. Nessuno pensava che lo stesso sperimentatore potesse influire sul
risultato dei suoi esperimenti. Teoria dei campi elettromagnetici
All’inizio del 19° secolo furono scoperti nuovi fenomeni che non potevano essere spiegati con la fisica newtoniana, la quale riteneva che due particelle con carica opposta si attraggono a vicenda come due masse. Faraday e Maxwell ricondussero questi fenomeni al
concetto di campo elettromagnetico e stabilirono che la forza di una carica
crea “disturbo” o “condizione” nello spazio circostante
così che la carica opposta, se presente, avverte tale forza. Nacque così l’idea
di un universo composto da campi elettromagnetici, fonti di forza che
interagiscono fra loro. Forse esiste un quadro scientifico all’interno del
quale cominciare a spiegare perché gli esseri umani influiscono sugli altri a
distanza, con mezzi diversi dalla parola e dalla vista. Cominciamo ad ammettere
che noi stessi siamo fatti di campi energetici. Può capitare di rispondere al
telefono sapendo già chi ci sta chiamando, di avvertire la presenza di una
persona in una stanza ancor prima di vedere o di udire la persona, spesso una
madre sente che il figlio è in pericolo (interazione fra campi). La
relatività Nel 1905 Einstein pubblicava la teoria della
relatività. Materia ed energia sono intercambiabili: la massa non è altro che
una forma di energia così la materia è energia rallentata o cristallizzata.
Inoltre lo spazio non è tridimensionale ed il tempo non è un’entità in sé.
Entrambi sono intimamente connessi e formano un continuum a quattro dimensioni: il cosiddetto
“spazio-tempo”. Così non si può più parlare di spazio senza includere il tempo
e viceversa. Non esiste un fluire universale del tempo, vale a dire che il
tempo non è lineare, né assoluto, ma relativo. Misura assoluta è un modo di
dire che non ha significato. Il tempo e lo spazio sono due elementi in cui la
nostra mente è costretta a scindere la realtà per ridurla a tre dimensioni,
mentre essa è a quattro dimensioni. La quarta dimensione è appunto la fusione
di tempo-spazio cioè il “cronotopo”. Per rendere intuibile una tale concezione facciamo
un’analogia: noi concepiamo le tre dimensioni, ma realmente ne percepiamo solo
due cioè le superfici (piane, curve, lisce). Se noi vogliamo vedere totalmente
un oggetto a tre dimensioni (una scatola) dobbiamo farlo girare e rigirare fra
le mani cioè dobbiamo ridurre la realtà a tre dimensioni in superfici viste in
tempi diversi. L’unione di questi tempi più le superfici ci da’ la
terza dimensione (della scatola) nello stesso modo che i corpi a tre dimensioni
più il loro movimento ci dà modo di conoscere quella realtà che è a quattro
dimensioni. Poiché in un mondo a quattro dimensioni non c’è più
né tempo né spazio, in esso non ci sono più separazioni (tempi e spazi diversi)
e perciò esso è stato chiamato un “continuum tetradimensionale”. Possiamo immaginare quali sconvolgenti problemi
derivano da una simile concezione, non solo per la fisica e la matematica, ma
per noi uomini. Scrive il Jeans (L’universo misterioso): “l’universo diventa molto più simile a un grande pensiero che a una
grande macchina”. L’uomo comunemente è portato a credere alla preesistenza della matematica, al fatto cioè che una novità matematica sia una scoperta e non una invenzione. Si crede che il quadrato costruito sull’ipotenusa fosse uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti prima che Pitagora enunciasse il famoso teorema. Si ha la sensazione che le verità matematiche sono necessarie, non arbitrarie e che coloro che le hanno scoperte, con fatica, le hanno scoperte in quanto già esistevano. A questa opinione si potrebbe contrapporre che precedentemente all’uomo, non esistevano né ipotenusa né cateti. Si potrebbe anche obbiettare che precedentemente al pensiero dell’uomo non esistevano neanche i numeri: in natura esistevano cose, esiste una coppia di buoi, tre uova in un nido, quattro gambe di un tavolo, cinque petali di una rosa canina, anzi esistono solo buoi, uova, gambe ecc. mentre i numeri sono ad essi affibbiati dall’uomo che idealmente raggruppa gli oggetti e men che mai esiste il numero astratto su cui l’uomo ragiona come se fosse un oggetto. In realtà noi avremmo creato delle finzioni e poi
dimentichi delle nostre stesse premesse implicite e consciamente poste saremmo
rimasti presi nel gioco delle conseguenze logiche che possono derivare da quelle premesse. Einstein ne “L’evoluzione della fisica” dice: ”La scienza non è una raccolta di leggi, un
catalogo di fatti senza nesso; è una creazione dell’intelletto umano, con le
sue libere invenzioni di idee e di concetti. E’ una libera creazione e non un
viaggio di scoperta di una realtà” definitivamente raggiungibile” e Max
Plank (La conoscenza del mondo fisico) dice: “Il lavoro scientifico ci si presenta come un corsa incessante verso una
meta che non sarà mai raggiunta: la meta è infatti di natura metafisica ed è al
di là di ogni esperienza”. Il dubbio di oggi è la scienza di domani, Galileo lo
insegna. I
concetti di tempo e di spazio sono talmente
fondamentali nella nostra concezione che la loro modificazione altera
totalmente i criteri di base su cui poggia la nostra visione. Non abbiamo
ancora inglobato nella nostra vita quotidiana questo aspetto della teoria della
relatività. Conosciamo tutti la sensazione del tempo che accelera o che
rallenta. Se ci abituiamo a considerare i nostri umori scopriamo che il nostro
tempo personale varia a seconda del nostro stato d’animo e delle esperienze che
stiamo vivendo. Le nostre esperienze esistono al di fuori del sistema
newtoniano. Nella cultura americana indigena che non disponeva di orologi per
misurare il tempo lineare, esistevano due concezioni temporali: “l’adesso” e ogni altro momento diverso
dall’adesso. Anche per gli aborigeni australiani il tempo ha solo due aspetti: il tempo “che scorre” e il “Grande Tempo”. Ciò che avviene nel Grande Tempo è in sequenza, ma
non può essere datato. Lawrence Le Shan che ha condotto esperimenti sui sensitivi, ha definito due tipi di tempo: il tempo lineare e il “tempo del chiaroveggente” che non è dissimile dal Grande Tempo. Secondo la concezione di Einstein del continuum
spazio-temporale l’apparente linearità degli eventi dipende dall’osservatore. Il dott. Larry Dossey, già medico affermato, si
interessò a un fenomeno singolare che incontrava spesso nella sua attività.
Infatti osservava che i malati caratterizzati da una maggiore tensione
spirituale e più inclini alla preghiera ed alla meditazione si riprendevano più
facilmente dalle loro sofferenze e tornavano con più rapidità alla vita.
Incominciò ad esplorare quella zona che separa i territori dello spirito da
quelli della scienza e della ragione. In un suo libro spiega che anche il
passato può mutare: prima di compiere un misurazione (analisi medica) si
può solo parlare di probabilità o possibilità e non di realtà. L’osservazione
porta i possibili avvenimenti ad un solo risultato che può essere chiamato “evento reale”. Sembra che
la psiche possa influenzare eventi subatomici passati già accaduti e in qualche
modo registrati finché non sono stati osservati coscientemente. Il
paradosso Intorno agli anni ‘20 la fisica è penetrata nella
realtà del mondo subatomico. Ogni volta che i fisici ponevano un domanda alla
natura, mediante un esperimento, la natura rispondeva con un paradosso e più
cercavano di chiarire la situazione più il paradosso si rafforzava. Gli scienziati si resero conto che il paradosso è un aspetto intrinseco del mondo subatomico, sul quale poggia tutta la nostra realtà fisica. I fisici, affrontando la realtà subatomica e
continuando a ricercare gli elementi costitutivi fondamentali della materia, si
sono imbattuti in un quantità tale di particelle elementari da non poterle più
chiamare elementari. Gli esperimenti degli ultimi decenni hanno dimostrato che
la materia è del tutto mutevole. L’atomo, parte più piccola della materia
divisibile, è composto da un nucleo centrale (neutroni e protoni) di carica
positiva e da elettroni di carica negativa che girano intorno su orbite
diverse. L’elettrone ha una caratteristica particolare
definita da Heisemberg con il principio di indeterminazione. Il comportamento
dell’elettrone è duale: si comporta da materia (particella) o da energia (onda
di probabilità) a seconda dell’occhio di chi osserva poiché interagisce con
l’osservatore. Ogni particella non è niente più che un pacchetto di
onde probabili. L’unica cosa che si può fare è valutare la possibilità di
incontrare questa particella in un determinato luogo dello spazio. La materia subatomica vibratoria si diffonde nello
spazio e sembra essere in molti luoghi contemporaneamente. Ha “tendenza
ad esistere” sono “onde di probabilità”. Diventano “reali”
nel momento in cui lo sperimentatore entra in contatto con loro studiandone il
comportamento. E' questo atto di prestare attenzione all’onda che la rende
probabile e non il fatto che potrebbe esistere. L’atto di osservare dimostra
che le particelle subatomiche in quanto tali non esistono come unità isolate.
Le onde di probabilità non sono probabilità di cose reali, ma probabilità di
accadimenti. Se ci concentriamo su qualcosa, facciamo in modo che si realizzi:
è l’atto stesso della concentrazione che rende reale qualcosa che esisteva
potenzialmente. E’ possibile effettuare un esperimento che prova che
la luce è una particella, ma se si introduce la minima variazione nell’esperimento
risulterà che la luce è un’onda. Per descrivere il fenomeno luce bisogna usare
sia il concetto di particella sia il concetto di onda: ci si sposta così in un
universo basato sul concetto sia/sia, cioè il concetto delle
complementarità. Le definizioni sono complementari anziché antitetiche come
voleva la tradizione dello o/o. Abbiamo cosi’ due mondi perfettamente delimitati. Da un lato il mondo quotidiano, quello degli oggetti familiari in cui si possono stabilire le leggi causali: ogni effetto è prodotto da una causa. E’ prevedibile, con leggi precise che reggono il comportamento dei corpi; fino a qui vale ancora la meccanica di Newton. Nel momento in cui si incomincia ad entrare nel mondo subatomico tutto si svolge in maniera sfumata, imprecisa e nebulosa. A mano a mano che queste nubi quantistiche si considerano raggruppate in entità più ampie, progressivamente l’indeterminazione incomincia a sparire.
Agli inizi della meccanica quantistica gli scienziati tendevano ad esemplificare questa indeterminazione con un esempio: se un ornitologo desidera studiare un uccello notturno, ha soltanto due possibilità. Se lo illumina con la luce l’uccello risulterà abbagliato, allora lo scienziato potrà analizzare la sua forma e i suoi colori, ma non il suo comportamento alterato dalla presenza della luce. Se si adatterà ad osservarlo quando calano le tenebre, l’incerto chiarore lunare potrà consentirgli di osservare il suo comportamento, ma non la sua morfologia. E’ evidente così come l’ordine dei fattori possa alterare il prodotto. A livello subatomico questo significa che non possiamo osservare questo mondo senza interagire su di esso. Nell’intervenire lo cambiamo, pertanto il mondo quantistico che osserviamo non è mai quello reale o meglio quello che sarebbe esistito senza la presenza dell’osservatore. E’ esattamente quello che accade quando un antropologo decide di mescolarsi ai componenti di un popolo primitivo per osservarne da vicino i costumi. Nel farlo sta già alterando il mezzo che si proponeva di studiare nel suo stato vergine. Il paradosso ha sempre ossessionato gli studiosi della meccanica quantistica incluso i suoi fondatori. Secondo il fisico John Wheeler “in questa situazione, ciò che ha contribuito a stupire è stato soprattutto un nuovo concetto offertoci dalla meccanica quantistica e cioè il rovesciamento del termine osservatore appartenuto alla fisica classica che designa un uomo posto al sicuro intento ad osservare quello che avviene intorno a lui senza prenderne parte. Questo non è possibile nella meccanica quantistica.” Ciò rende interrelati l’uomo e l’universo, “ ciò che sta in alto è come quello che sta in basso”, non potremo mai osservare la realtà poiché noi siamo parte di essa. L’esperimento noto come “il gatto di Schroedinger”Questo curioso esperimento si svolge così: dentro una scatola si mettono un gatto, una fonte radioattiva, un martello e un flacone di veleno. Tutto ciò viene disposto in modo tale che qualora sì produca l’emissione di una particella, questa attivi un rivelatore che a sua volta fa si che il martello colpisca il contenitore di vetro liberando il veleno. C’è il 50 % di probabilità che la particella venga emessa e il restante 50 % che questo non accada. In caso affermativo si attiva tutto il processo e il gatto muore; in caso contrario vive. Per accertare l’esperimento bisogna aprire la scatola quindi il gatto sarà vivo oppure morto. Non per i fisici quantistici, secondo loro le due possibilità simulate hanno originato una superposizione di stati. All’interno della cassa vi sono in forma potenziale due emissari radioattivi, due rivelatori, due martelli, due flaconi di veleno e due gatti. Di fatto una funzione d’onda che contiene la superposizione degli stati e che rappresenta le due possibilità di azione contenute nella catena di elementi: emissore radioattivo-rivelatore-martello-veleno-gatto. Ciò che afferma la quantistica è che aprendo il coperchio, e solo allora , osservando quello che è accaduto, si identifica o determina l’atto in cui detta funzione d’onda si collassa e soltanto una delle due possibilità emerge nel mondo reale.
E se noi osservassimo all’interno della cassa? In questo caso il gatto e tutto
il resto si troverebbero in una specie di limbo, in un mondo quantistico
indefinito ancora fuori dall’esistenza. Queste affermazioni sono in odore di
magia o sembrano richiamarsi alle antiche filosofie espresse da Platone o dal vescovo Berkeley colui che ancora nel
XVII secolo assicurava che il mondo materiale non esistesse e che quello che
consideravamo tale fosse unicamente la nostra percezione di esso. Ecco il
pensiero di Wheeler : “un fenomeno non è
un vero fenomeno fino a che non viene osservato” e ancora “l’universo in che modo riceve tracce della
partecipazione dei partecipanti?”. Il paradosso del gatto ammette anche altre
implicazioni. Una di queste è il caso conosciuto come “l’amico di Wigner”. Se al posto del gatto dentro la scatola si mette una persona il resto dell’esperimento non varia. Solo che quando si toglie il coperchio Wigner incontra un suo amico. Se è vivo gli domanda come si sente e allora la risposta sarà “bene”. L’amico di Wigner non ha alcuna coscienza di essere passato per questo stato duale di vivo-morto, cioè di essersi convertito in una funzione d’onda che si è collassata solo quando Wigner ha aperto la scatola . Ma se Wigner è colui che nell’osservarla fa collassare la funzione d’onda è colui che impone all’universo di decidere optando per uno dei due stati? E l’amico? Dove finisce la sua libertà di scelta se Wigner da fuori la impone? Wigner negli anni ’60 scopri’ che è impossibile dare una
definizione soddisfacente dei fenomeni atomici senza fare riferimento alla
coscienza, ma non è una idea nuova. Il francese Edmond Bauer e il tedesco Fritz
London avevano già scritto nel 1939: ”non
è una interazione misteriosa tra l’apparecchio e l’oggetto quella che produce
una nuova funzione d’onda del sistema durante la misurazione. E’ soltanto la
coscienza di un io che può separarsi dalla funzione di onda anteriore e
costituire, in funzione della sua osservazione, una nuova oggettività
attribuendo all’oggetto una nuova funzione d’onda.” Un’altra implicazione si evidenzia cambiando un poco l’esperimento del gatto. L’osservatore non apre il coperchio, al suo posto una macchina fotografica registra l’evento. Lo sperimentatore prende la foto e la ripone senza guardarla e aspetta un anno. Alla fine di questo tempo estrae la fotografia e osserva quello che è successo al gatto. La tremenda conclusione della macchina quantistica è che durante questo anno il gatto è rimasto sospeso in una funzione d’onda indeterminata. Nella catena degli eventi che vanno dalla particella radioattiva fino all’osservatore tutti gli elementi composti da atomi seguono le leggi della quantistica e contengono questa simulazione di stati. La macchina fotografica ha captato una funzione d’onda del gatto vivo-morto. Anche quando l’osservatore guarda la fotografia gli atomi dei suoi occhi fino a quelli del suo cervello obbediscono a quella legge e posseggono una funzione d’onda con entrambe le possibilità. Solo quando la coscienza dell’osservatore guarda la foto la catena degli eventi ripercorre il tempo dal presente fino al passato. In questo istante e non prima, un anno dopo l’esperimento, è il momento in cui la coscienza dell’osservatore collassa la funzione d’onda, sceglie coscientemente tra i due stati e decide secondo l’impressione che si aspetta di ricevere nel futuro cioè se il gatto deve vivere o morire. Questo ci conduce all’allucinante conclusione che ciò che stiamo facendo ora, nel presente, influisce su tutto quello che è accaduto nel passato. Nella fisica quantistica l’essere coscienti ha una parte differente da quella che riveste un apparecchio di misurazione inanimato.
Wheleer nel 1979 durante la commemorazione del centenario di Einstein affermò: “quello che chiamiamo mondo reale, per esistere deve sperare di avere esseri coscienti che lo possano osservare.”. Egli vuole affermare che per ottenere una esistenza reale l’universo doveva attendere che noi facessimo atto di presenza e fino a che questo non accadde si vide obbligato a rimanere in questo stato di esistenza non esistenza , cosicché soltanto quando siamo giunti a dedurre che l’universo ebbe inizio, il famoso big bang è divenuto reale. Che cosa significa questo? Il mondo è in un
modo o nell’altro perché siamo noi a dire a noi stessi che questa è la sua
forma diceva Don Juan al suo discepolo Carlos Castaneda. Se smettiamo di dire
che il mondo è così il mondo smette di essere così e nella meditazione vedica
si afferma: “ tutti i corpi sono miei, io
sono l’universo, tutto questo è mio. Non può esservi alcuna differenza, io sono
quello, io sono quello, io sono quello”. FINE
DELLA PRIMA PARTE
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